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Un orto cresce a Lampedusa

A group of kids and an adult gardening
Un volontario e dei bambini di quarta elementare piantano insieme dei semi nell’orto di Terra!, nel centro di Lampedusa. © Clara Vannucci per Open Society Foundations

In una tranquilla serata estiva, gli abitanti del posto si riuniscono nell’orto comunitario dell’isola di Lampedusa. Un luogo malridotto, un vecchio appezzamento di terreno abbandonato, della lunghezza di un isolato, ma largo solo la metà, che si trova in pieno centro. Una ragazza, vestita con una gonna color mostarda e scarpe luccicanti, si muove tra filiere di rosmarino e lavanda da una parte, e melanzane, fave e meloni dall’altra. Porta con sé una vaschetta di piantine che maneggia con cura. Un gruppetto di orticoltori si raccoglie attorno a una porzione di terreno sopraelevata, assorti nell’importante compito di piantare del basilico. È lunedì, e gli ospiti del Centro diurno per disabili di Lampedusa si prendono cura dei loro orticelli. Volontari, amici e familiari: sono tutti qui, e gli scherzi e le risate riecheggiano nell’aria. 

Si respira qualcosa di nuovo.

Per anni, i migranti in partenza dalle coste dell’Africa Settentrionale hanno fatto rotta verso Lampedusa, un’isoletta che dista 113 km dalle coste africane e che rappresenta l’Europa. A causa della Primavera araba del 2011 e delle conseguenti agitazioni, il numero di sbarchi sull’isola aumentò considerevolmente. Lampedusa, con una popolazione residente di 6000 abitanti, si trovò ad accogliere fino a 4000 persone in una settimana. I lampedusani, pur organizzandosi velocemente per fare tutto il possibile, spesso cucinando della pasta in casa per sfamare i nuovi arrivati, erano sopraffatti dalla situazione. Una delle date che tutti loro ricordano è sicuramente il 3 ottobre 2013, il giorno in cui un peschereccio sovraffollato con a bordo più di 500 persone si capovolse appena oltre la riva. Trecentosessantasei persone persero la vita. Fu una tragedia che scosse il mondo intero, almeno per un momento.  

Persone in piedi in acque poco profonde
Scorcio della Spiaggia dei Conigli a Lampedusa. © Clara Vannucci per Open Society Foundations

I migranti continuano a morire nel Mediterraneo. Tuttavia oggi, soprattutto a causa di una politica europea profondamente sbagliata che finanzia la guardia costiera libica per arrestare i migranti nelle loro acque territoriali e restituirli alla Libia (dove li attendono tortura e maltrattamenti), gli sbarchi a Lampedusa sono diminuiti notevolmente. 

Quando l’organizzazione ambientalista italiana Terra! arrivò a Lampedusa nel 2014, trovò una popolazione che cercava di riprendersi e capire come reagire a questa situazione. Il turismo era in fase di recupero, e questa era sicuramente un’ottima notizia. Tuttavia, continuavano a sentire storie che raccontavano di un ricco passato agricolo, ora soppiantato dal turismo, su un’isola dove, oggigiorno, la maggior parte della frutta e della verdura viene spedita dalla terraferma. 

“Prima non era così” racconta Silvia Cama, la responsabile del progetto per Terra!. L’agricoltura “è scomparsa”. 

La popolazione locale voleva trovare un modo per riappropriarsi del proprio passato agricolo. 

Terra! ha lanciato il progetto dell’orto comunitario proprio come risposta a questo desiderio. Lo hanno considerato come un’opportunità di essere solidali con i lampedusani nel loro tentativo di riparare il tessuto della comunità. 

  • Una donna porta delle piante in un orto
    Una donna di un vicino centro per disabili trasporta delle piantine di zucca da piantare nell’orto di Terra! a Lampedusa. © Clara Vannucci per Open Society Foundations
  • Un gruppo di persone contempla delle piantine non ancora piantate
    Mentre un gruppo di persone di un centro per disabili osserva, due volontari mostrano la crescita delle piantine di zucca e zucchine nell’orto di Terra! a Lampedusa. © Clara Vannucci per Open Society Foundations
  • Una mano colloca una pianta nel terreno
    La mano di uno dei volontari mentre pianta una piantina di zucca nell’orto di Terra! a Lampedusa. © Clara Vannucci per Open Society Foundations
  • Un uomo cammina lungo un orto appena piantato
    Uno dei volontari dell’orto di Terra! a Lampedusa. © Clara Vannucci per Open Society Foundations

Quando Silvia Cama iniziò a lavorare all’orto comunitario, sentì parlare di un vecchio contadino della vicina isola di Linosa che coltivava “antichi sementi”, tramandati da generazione in generazione. Decise di chiamarlo. Il contadino si chiama Salvatore Ramirez; ha 70 anni, la pelle segnata dal sole, gli occhi di un blu cobalto. 

“Grazie al cielo sto invecchiando” scherza, sigaretta in mano, con addosso dei jeans blu e una camicia azzurra. “Significa che sono in buona salute”.

Le sementi di Salvatore hanno creato l’orto comunitario. Lenticchie. Fave. Orzo. Capperi. Tutte le piante, originate da semi antichi che risalgono al XIX secolo, crescono rigogliose. 

Ma anche il retaggio di un altro vecchio contadino ha contribuito alla nascita di quest’orto. Il suo nome è Pasquale Tonnicchi e, anche se scettico quando sentì parlare per la prima volta dell’orto comunitario, ne fu rapidamente conquistato. In quello che Katia Billeci, la coordinatrice sul campo dell’orto comunitario, e lampedusana di nascita, descrive come una “trasmissione essenziale di conoscenze”, Pasquale ha condiviso tutto il suo sapere, che ora pervade tutto questo sgangherato orto.

La maggior parte della coltivazione si realizza in completa armonia con il territorio. Per esempio, le lenticchie si utilizzano per ripristinare i livelli di azoto del suolo. I pomodori si consociano con il basilico, quindi vengono piantati insieme. Le cipolle e l’aglio fungono da repellenti per insetti, e vengono piantati attorno ai terreni per mantenere lontani eventuali parassiti. I muretti che circondano l’orto sono stati costruiti utilizzando il metodo tradizionale, disponendo le pietre le une sulle altre e incastrando tra loro delle pietre più piccole. In questo modo il muro trattiene l’umidità e la rilascia nel suolo. 

“Le piante sono collegate con un sistema molto amichevole” dice Silvia, sorridendo. 

Proprio come la comunità stessa. 

Un uomo e una donna maneggiano dei semi
Salvatore Ramirez, il contadino che ha dato origine all’orto comunitario di Lampedusa grazie ai suoi semi antichi, scambia dei semi con Silvia Cama. © Clara Vannucci per Open Society Foundations
Delle mani colme di semi
Salvatore Ramirez con una manciata di semi di fava nera siciliana. © Clara Vannucci per Open Society Foundations

Maria Leduisi, tecnico della riabilitazione psichiatrica, gestisce il Centro diurno per disabili di Lampedusa. Venne a Lampedusa con l’idea di restarci 15 giorni, e sono passati ormai 15 anni. È sempre alla ricerca di nuovi modi per abbattere le barriere tra le persone con disabilità e la comunità. L’orto comunitario abbatte queste barriere.

“Ho visto un’accettabilità sociale”, afferma. “Questa comunità è più inclusiva rispetto al passato”.

Maria vede qualcosa di rivoluzionario in quest’orto: 

“Il giardino collega due mondi che prima non comunicavano tra loro”, racconta.

Herminda ha una voce dolcissima e un atteggiamento felice. Ci parla dei picnic che si organizzano all’orto, che a lei piacciono molto. E ci racconta che la settimana scorsa Silvia ha organizzato una festa di compleanno, e lei era invitata. Anche questo le è piaciuto molto. “Io venivo qui quando non c’era niente. Ho aiutato a recuperare questo terreno e a coltivare quest’orto.” Indicando i muretti di pietra, aggiunge: “tutte queste pietre le ho messe io”. 

Celestina, invece, ci spiega come quest’orto è un modo per stare insieme alle persone. “Io sono rinata in quest’orto dopo la morte di mia madre.” Celestina ha voluto sapere la mia età e, una volta appurato che ha ben dieci anni più di me, si è mostrata contenta. “Ho più esperienza di vita su questo pianeta di te”, ha osservato.

Questo è il quinto anno dell’orto comunitario di Lampedusa. Oggi qui crescono tantissime verdure, insieme a erbe aromatiche come menta, rosmarino, lavanda e basilico. Dieci abitanti badano ai propri orticelli. Anche i bambini delle scuole vengono e si sporcano le mani nell’orto. I residenti della zona ora si fermano mentre rientrano a casa, alla disperata ricerca di rosmarino, menta o qualche altro ingrediente indispensabile.

Quando lo scorso ottobre si prospettò la possibilità di perdere i finanziamenti, Open Society Foundations ha offerto il suo sostegno. 

“Anche se il numero degli sbarchi è diminuito, i lampedusani sono stati e continueranno ad essere profondamente colpiti dalla migrazione verso l’Europa” spiega Giovanna Castagna, di Open Society. “Le persone in cerca di salvezza o di una vita migliore continueranno ad arrivare qui. Continuano ad essere in vigore politiche migratorie restrittive. Il supporto di Open Society Foundations all’orto comunitario è un piccolo gesto per dire agli abitanti di Lampedusa che non ci dimentichiamo di loro. Siamo con voi.”

Una barca vicino a un pontile
Tramonto a Lampedusa. © Clara Vannucci per Open Society Foundations

In quella tiepida serata estiva, la figlia di Pasquale Tonnicchi, Anna Maria, è lì con la madre. Suo padre è morto un anno e mezzo fa e lei si emoziona quando viene qui. 

“Quando ho visto mio padre lavorare la terra era come se stesse suonando uno strumento”, dice. "C’era un forte legame tra lui e la terra, lavoravano in armonia.”

“Dobbiamo guardare con attenzione alle nostre radici, al nostro passato. Ed è ciò che questo progetto intende fare”.

Per quanto riguarda Salvatore, ritorna raramente a Lampedusa, è troppo occupato sull’isola di Linosa, dove lavora anche come guida turistica. Segue comunque i progressi dell’orto su Facebook.

“Non sono mica un matusa!”, dice ridendo, con il viso raggrinzito e gli occhi pieni di vita. 

Terra! Onlus è un beneficiario di Open Society Foundations.

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